| Vola Vittorio, vola. E' finita. Ultima rappresentazione della DCO nella capitale: poco più di tre mesi, tante repliche per le scuole, fine settimana lungo per tutti noi; il tutto con un pò di fatica iniziale, ma con ripresa e organizzazione che hanno saputo tenere testa e mantenere alto livello e pubblico in una città estremamente viva, dove le distrazioni non mancano, e in un teatro posto in una zona infelice: hanno vinto, direi, la "Divina Commedia l'Opera" ha vinto. Dopo nubi di incertezze, perplessità, sorrisi, la ricerca costante di quegli occhi che sanno incantarti e di quella voce assolutamente unica, una piccola fitta si insinua noncurante dentro di me, ad incidere e marcare quel debole richiamo che mi ostino a non voler sentire; ma dopo un accenno di commozione, si lanciano coriandoli: non è un addio per un futuro incerto ma un arriverci verso una nuova meta, quel nuovo trampolino dove tutto si rimetterà in discussione, per tornare, prima o poi, nel luogo di origine, dove tutto è iniziato. Queste, almeno, più o meno le parole di Mons. Frisina al termine della rappresentazione. Ho visto la DCO 20 volte, nonostante le perplessità iniziali, nonstante i dubbi che mi oscuravano la visione, per comprendere, per capire la scelta, per lasciarmi andare ancora una volta all'interpretazione di Vittorio, verso un personaggio al quale ha dato voce, volto e anima e che mi ha insegnato ad amare. Ho imparato ad apprezzarne le qualità, a godere delle piccole parti che sanno incantare, dei momenti che avvolgono con un'atmosfera calda. Alla Prima la perplessità mi ha colto alla sprovvista: mi sono trovata di fronte a qualcosa che mi ha disorientato e alla quale, nonostante tutto, non ero preparata. Ma ho fortemente riposto in Vittorio le mie speranze, assegnandogli un compito fondamentale e non leggero: ho cercato Dante, ho cercato Vittorio, e poco a poco li ho trovati entrambi, uno sfumato nell’altro, in quell’armonia ed eleganza che permettono di entrare nell'atmosfera magica dell'illusione che diventa realtà, e viceversa. Ho rincorso un sorriso sul volto, un tremore della mano, un’angoscia negli occhi, uno sguardo di speranza; ho visto Vittorio diventare Dante, con sempre maggiore convinzione, con una vasta gamma di sfumature e particolari che hanno reso vivo il personaggio nella scena: vivo, credibile e vero. Ho amato quel qualcosa che è andato oltre la scenografia, le proiezioni, i costumi, anche oltre la musica stessa, essenza dell’Opera, quell’elemento che permette di far emergere e assaporare, sommate tutte le componenti, la magia dell’atmosfera: ho amato il Dante di Vittorio. Mi piace, sì, mi piace vederlo sul palco, mi piace quando un braccio accompagna l’intensità di un’emozione, quando una mano tremante trasmette paura ed una che accarezza dona fiducia. Mi piace oltremodo il suo modo di cantare, quando questa immensa voce vola sopra le altre, senza coprirle, ma elevandosi con la leggerezza che dona eleganza all’insieme della scena. Questa voce, che è una musica per me, nel duetto con Virgilio viene ancora più esaltata, denotandone la limpidezza; questa voce che accentua profondamente il dolore di Francesca, questa voce che da sola conferisce l’angoscia del tormento di un padre straziato dal dolore. Questa voce piena, unita a quest’interpretazione accurata, hanno rischiarato il cielo offuscato di dubbi rendendolo limpido e sereno. Vola Vittorio, vola.
Laura
P.S. non mi rassegnerò a sperare di vedere Paolo comparire accanto a Francesca nella scena finale del primo atto!
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