| Ora che le luci si sono spente, la musica è finita, gli amici se ne vanno… ehm, ora che le emozioni si sono, ehm, diciamo, stabilizzate (diciamo, perché il ripensarci ancora porta quel groppo alla gola) provo ad alleggerire la mente e a trovare un po’ di lucidità per parlarmene, per ricordare a me stessa quello che ho visto, ascoltato e sentito nel profondo. Sono arrivata a Dracula senza farmi aspettative, sapendo che qualsiasi cosa avessi potuto immaginare non avrebbe in alcun modo corrisposto a quanto avrei visto e vissuto. Vittorio è sempre riuscito a sorprendermi, a stupirmi, anche nelle occasioni più tranquille, figuriamoci cosa avrebbe fatto con questo personaggio che amava e studiava da così tanto tempo, in cui credeva così profondamente. Ho vissuto nove repliche di emozione, di tensione, di un sommovimento interiore che non riuscivo ad identificare, non aveva voce e lacrime, solo un’energia forte che esplodeva nel petto e implodeva in me. Ho visto lo spettacolo crescere, e migliorare di volta in volta, gli interpreti trovare sempre maggiore affiatamento con il proprio personaggio e tra loro, li ho visti modificare le proprie movenze, le proprie espressioni, le proprie voci per aumentare l’efficacia del messaggio che trasmettevano. E ho visto Vittorio grande più che mai, fin dal suo emergere la prima volta, un gigante che faceva apparire meno sconfinato quel palcoscenico enorme, Vittorio, bello, solenne, maestoso, imponente, austero. E mi sono sentita orgogliosa di lui e per lui, perché quello era il suo spettacolo e lo si capiva fin da subito. Già qui, nel suo inseguire la sua principessa, Vittorio permea di sé quel dramma di un amore rincorso e perduto nel momento in cui lo sta raggiungendo; a lui non serve la voce, esprime già tutto il suo dramma nell’incedere, nella mano protesa, nell’espressione che muta da solenne a disperata, poi sofferente, rabbiosa. Poi torna evocato, annunciando il destino che l’attende e desidera, Io risorgerò, l’alba io rivedrò… qui perdo la cognizione di quanto accade, mi accorgo da poco che c’è anche Renfield e che le sue espressioni accompagnano quel canto, perché la mia attenzione è tutta lì, a quell’annuncio, a quella voce maestosa, improvvisa, prorompente, che mi strappa dalla poltrona e mi porta altrove, immergendomi nella sofferenza di quest’uomo diventato mostro per lo strazio della perdita ma che vuole ritrovare se stesso ritrovando lei. Ora mi trascina in quel castello, mi affascina con il racconto fiero della sua nobile dinastia, mi diverte con quel gesto da padrone che esamina la servitù e trova qualcosa che non va nella divisa del cameriere, con gli sguardi autoritari che lancia alla vittima designata che non è mai la stessa. Poi mi riporta nel dolore della nostalgia, dell’assenza, Amore immenso, colmo di triste disperazione, Il mio morì, da quella notte lo sento urlare, poi la promessa, Ritornerò, ti troverò, declamato con tutta la forza dell’amore che da’ speranze e certezze. Lo vedo diventare maestro di cerimonia di quel rito che avvolge il destino di Jonathan, osserva, accompagna, attende che la vittima gli venga offerta. E parte per quel viaggio alla ricerca della donna che ama e di se stesso, ricorda quanto ha perso, invoca il legame con la sua terra, unico sostegno per quest’uomo profondamente solo con il suo dramma. Terra che vedi anche se non c’è, la vedi scivolare dalle sue dita, la vedi riempire la bara che lo accoglierà. Che dolore vederlo incrociare le mani sul petto e sdraiarsi all’interno di quella lugubre cassa, che solennità nella preparazione del gesto, che senso d’attesa lascia quel Lei non è morta. E quando Dracula arriva a Londra, annunciato da tempesta e morte, ha scelto la sua vittima, si annuncia a lei, dice chi è, quell’Io appartengo all’inferno… la voce di Vittorio sembra arrivare dalle profondità dell’abisso, terribile e spietata, potente a prepotente… Si ripete il rito, Lucy si abbandona a lui quasi supplice, viene trascinata da lui che già assapora voluttuosamente il gusto del suo sangue, lei attende bramosa che si compia il rito. Ma non è un rito, non stavolta, stavolta è la bestia che si nutre della sua vittima. Vittorio fa ogni volta più paura, fin dalle prime convulsioni che preannunciano la metamorfosi, cade, toglie furiosamente il mantello, corre quasi carponi, raggiunge la sua vittima, consuma il suo pasto e come un animale rimane debole ed indifeso, impreparato alla voce di colei che ama, non riesce a liberarsi della sua animalità, nel fisico come nella voce alterna la bestia all’uomo, se ne vergogna, si nasconde, la insegue, drammaticamente in ginocchio le grida un Ti amo sofferto che ha il sapore della perdita. Ora conosciamo il suo dramma, perché in ogni cattivo, in ogni dannato c’è una ragione per quella cattiveria, Vittorio mi fa percepire la sofferenza di un mondo senza luce, mi fa vedere gli uccelli volare, me li fa sentire, mi fa sentire il dolore struggente per la perdita dell’innocenza, del sapore delle carezze, il suo sguardo mentre scende tra gli uomini mi da’ il brivido di una visione, mi sembra un fantasma quando mi passa accanto. Ogni volta mi ritrovo incredula, incapace di proferire parola. Ora respiro, sì. Respiro, forse... per un po’. Si riprende, so che Vittorio non c’è per un po’, mi godo l’emozione che mi da’ l’opera in modo meno provante, osservo finalmente i ballerini che troppo spesso trascuro perché Dracula mi rapisce quand’è presente, ma poi riappare. Solenne copre il volto alla vista del suo nemico, accoglie la sua principessa, appoggia il viso sul suo cuore, cerca il suo cuore. L’ha ritrovata, è pronto a dichiararle ancora una volta il suo amore, lui che ha combattuto i peggiori nemici, che ha saputo dominare anche i suoi demoni, non è pronto a lei. La sua voce si riempie di dolcezza, di malinconica dolcezza, e strisciando sulle scale (ma come fa? Il mio primo commento fu non ci posso credere, lo ricordo bene) arriva a lei… Eppure non son pronto al tuo sorriso perché tu sei il coltello e la ferita… la fiaccola che al buio tiene acceso il dialogo di un uomo con la vita… Quanta delicatezza, quanta eleganza in quei movimenti appena accennati. Ora possono amarsi, ritrovare quella parvenza d’umanità che la vita aveva tolto. Io sono quell’uomo che aspettavi… Stanno per ritrovarla, quell’umanità, si avvicinano assieme a quel limite che li separa dal mondo reale, ma no, non è ancora tempo, e questo momento di infinita dolcezza è rotto dalla voce di chi vuole la sua morte, la morte del male che non è male. La morte non muore, ma Vittorio è vivo e mi chiedo ogni volta come riesca a reggere con il fisico e soprattutto con la voce alla fatica di questo pezzo, si muove da un lato all’altro del palcoscenico, corre su e giù per le rampe, dopo esser sparito nella botola lo ritrovi al terzo piano, ma la sua voce è sempre lì, perfetta e limpida come se lo sforzo non esistesse. Se la prima volta avevo sentito un po’ d’affanno, ora è completamente sparito, o perlomeno Vittorio lo sa mascherare molto bene. Poi torna, nella penombra, lo sguardo sempre austero, sempre imperturbabile mentre si adagia ancora in quella bara (ogni volta per me è un colpo, sarà claustrofobia..). Ora si compie il sacrificio finale, la morte per amore rincorsa da lei, inizialmente rifiutata da lui che fa un balzo indietro, il volto spaventato da quella richiesta, una struggente lotta per vivere l’eternità dell’amore in un infinito abbraccio, lo strazio finalmente urlato alla vista del sole, il tremore nel momento della morte. Finisce, tra le lacrime che scendono copiose da tempo oramai, finalmente quell’emozione è uscita, non mi dilania il petto ma si mostra, si unisce all’emozione di tutti coloro che hanno vissuto quest’ultimo momento con la forza e l’intensità che queste persone davanti a noi ci hanno trasmesso, commossi quanto e più di noi. Finisce. Ma rimane nel cuore. Rimane la sensazione di qualcosa di splendido che ho vissuto e rivissuto, rimane il piacere di un’opera bella, bella, bella, ben studiata, ben confezionata e ben interpretata. Rimane il piacere di avere visto dei giovani alle prime esperienze tanto capaci e tanto umili da pensarsi ripensarsi e migliorarsi. Rimane l’abbraccio affettuoso di chi ha condiviso con me tutto questo, anche se non avvezzo all’abbraccio, perché in quel momento siamo tutti uniti in un’unica emozione dalle tante sfaccettature.
Ma più di tutto rimane la soddisfazione e l’orgoglio per un amico (a me piace considerarti un amico, Vittorio) che ha saputo fare una cosa così grande, che finalmente ha la sua opera, finalmente è il protagonista, finalmente è riuscito ad essere il personaggio che ha intensamente voluto e sentito, studiato e creato, che ha fatto suo e con il quale ha permeato di sé tutto quanto accadeva lassù. E che mi ha portato con sé in universo che mai avrei sospettato di esplorare. Con gli occhi colmi di commozione Grazie Vittorio
lori
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