| Allora innanzitutto esprimo la mia personale gioia per la splendida nostizia. Secondo sarà forse il caso di cominciare a conoscere questo personaggio, le sue sfaccettature e come sarà messo in scena. Quindi scatenatevi con caccia agli articoli. Come dice il corriere la regia sarà affidata ad Alfredo Arias, mentre i testi Vincenzo Incenzi di cui vidi un sito personale che al momento però non mi sembra sia attivo. Comunque per comunciare ho trovato una breve biografia su Stocker:
Bram Stoker nacque a Dublino nel 1847, terzo di sette figli, e vi morì nel 1912. Suo padre Abraham Stoker (da cui ereditò il nome, affettuosamente abbreviato in Bram per tutta la vita) era un impiegato statale che lavorava nell'ufficio della segreteria del castello di Dublino. Bram era un bimbo assai delicato, gracile e malaticcio, al punto che non ce la fece a reggersi in piedi fino all'età di sette anni. Tuttavia, a forza di cure affettuose e di volontà, riuscì egregiamente a superare i malanni dell'infanzia e divenne un uomo così atletico e robusto da potersi in seguito definire con tali parole: « Credo di poter dire che, nella mia persona, rappresento la sintesi dell'educazione universitaria mens sana in corpore sano». Stoker si laureò a pieni voti in matematica al Trinity College di Dublino, ma dopo aver lasciato la scuola sviluppò un grande interesse per la letteratura e soprattutto per il teatro. Accettò di lavorare gratuitamente come critico teatrale per il Mail, dove tenne una rubrica acquistandosi fama di severissimo stroncatore, e nello stesso tempo seguì per qualche anno le orme di suo padre, esercitando l'oscuro mestiere di impiegato dell'amministrazione pubblica. Poi, a ventinove anni conobbe il famoso attore Henry Irving (dotato di una voce «sibilante e terribile» e specializzato nella versione scenica di Frankenstein): l'incontro cambiò le loro vite. Stoker seguì Irving a Londra, dove in breve divenne suo confidente e consigliere, nonché l'eccellente organizzatore del suo teatro, il Lyceum, ben contento di trovare un tale sbocco per il suo talento burocratico e organizzativo. Nel frattempo, si diede a sfornare decine di racconti e di testi teatrali (stilisticamente tutti oscillanti tra il feuilleton e il grand-guignol, e piuttosto di scarso rilievo), nonché una breve raccolta di storie per bambini, Under the Sunset, edita nel 1881. Per ventotto anni - ovvero fino alla morte di Irving, avvenuta nel 1905 - Stoker fu, in pratica, l'insostituibile segretario del grande attore. Nei sette anni che gli restarono da vivere si dedicò completamente all'attività letteraria (Dracula, uscito con enorme successo nel 1897, gli aveva largamente assicurato la tranquillità economica), pubblicando, tra l'altro, i romanzi The Lady of the Shroud (1909) e The Lair of the White Worm (1911), oltre a un'opera in due volumi dedicata alla memoria del suo celebre amico scomparso, Personal Reminiscences of Henry Irving (1906). Nel 1897, in occasione della pubblicazione di Dracula, l'anziana signora Charlotte Stoker scriveva a suo figlio Bram: «Mio caro, è splendido, molto al di sopra di quanto hai scritto fino a oggi. Sono sicura che ti situerà parecchio in alto tra gli scrittori della nostra epoca. Nessun libro dopo il Frankenstein di Mrs. Shelley, nessun altro libro si avvicina al tuo per originalità, o per la capacità di suscitare terrore». Nel suo legittimo orgoglio di madre la signora Stoker aveva proprio visto giusto: il libro di suo figlio era un capolavoro, «un capolavoro del genere se non un capolavoro letterario», ma senz'altro un capolavoro, il cui successo era destinato a durare e a crescere nel tempo (ne fu addirittura stampata un'edizione in paperback destinata alle truppe americane durante l'ultimo conflitto mondiale), uno di quei pochi libri che divengono un fatto di costume, impongono un gusto, entrano a far parte dell'immaginario collettivo. «Il potere e l'eredità del libro sono presenti dappertutto», come afferma di nuovo Wolf (e si vedano a questo proposito la sterminata filmografia sul Conte e i suoi numerosi epigoni, nonché le innumerevoli riduzioni o derivazioni a fumetti): «più che un genere, Dracula è ormai una dimensione. Basti pensare al fatto che nel corso dei nostri tetri carnevali, accanto a fatine e moschettieri non manca mai il marmocchio con la maschera dentuta del Conte Vampiro e magari con un emblematico rivolo rosso sul mento; e gli Alleati, durante la seconda guerra mondiale, hanno pensato bene di battezzare "Operazione Dracula" una loro sanguinosa e devastante offensiva in Birmania». Ha insomma ragione David Punter quando osserva che «l'uso del termine "mito" per descrivere un'opera letteraria si presta all'abuso, ma se c'è un'opera moderna per la quale il termine calza a pennello, questa è Dracula, foss'anche sul puro e semplice piano dell'accoglienza ricevuta». Stoker affermò che l'idea definitiva del libro gli venne da un incubo causato da una scorpacciata di gamberi in insalata in compagnia dello studioso ungherese Arminius Vambery: addormentatosi, sognò un vampiro che sorgeva dalla tomba per recarsi a compiere i suoi orribili misfatti. Ma nota giustamente ancora Leonard Wolf che «il sogno di un inglese non basta a costruire un capolavoro della narrativa» , e infatti Stoker, proprio sotto la guida di Vambery, si documentò scrupolosamente (non si dimentichino i suoi studi di matematica), trascorrendo ore e ore a consultare i libri e le mappe del British Museum finché non trovò tutto quello che gli serviva per «costruire» (il termine è quanto mai esatto) il suo romanzo: le autentiche tradizioni del folklore sui vampiri, un sinistro personaggio realmente vissuto circa quattro secoli prima, Vlad Dracul detto anche Vlad Tepes I'Impalatore, e infine una terra dove potere, in modo storicamente attendibile, ambientare il tutto, ovvero la Transilvania, «la terra oltre la foresta». Stoker scrisse così l'ultimo grande romanzo gotico, o meglio seppe creare, forse senza rendersene pienamente conto, «il ponte tra l'orripilante romantico e il thrilling moderno», mettendo in crisi le floreali ed efferate certezze del Modern Style. A formare la sfaccettata figura del protagonista contribuirono, in varia misura, i già ricordati John William Polidori e Thomas Peckett Prest (The Vampire e Varney the Vampire), ma anche Matthew Gregory Lewis (The Monk), Ann Radcliffe (The Mysteries of Udolpho, The Italian), Charles Robert Maturin (Melmoth the Wanderer), oltre, beninteso, Henry Irving, di cui Stoker, descrivendo Dracula, tracciò, a suo dire, il «ritratto dal vero». Restano comunque non pochi interrogativi, e sembra riassumerli assai bene Antony Boucher, critico attento e sottile come pochi, quando nella sua nota introduttiva all'edizione Heritage di Dracula si chiede: «Come mai il più famoso romanzo dell'orrore in lingua inglese (e forse il più famoso in senso assoluto) è stato scritto da un uomo che ha iniziato la sua carriera pubblicando I doveri degli impiegati nelle udienze per i reati minori in Irlanda?»... È una domanda alla quale è molto difficile rispondere e che forse conviene lasciare in sospeso, ammettendo, di nuovo d'accordo con Wolf, che « il genio letterario è più facile da riconoscere che da spiegare». di RICCARDO REIM
Bye Max
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